La pesca intorno al Promontorio di Portofino

 

Sul Promontorio di Portofino l'agricoltura era un'attività poco remunerativa i cui principali prodotti erano costituiti da olio e vino, mentre la pesca rappresentava una delle risorse più importanti per l'economia del luogo. Ciò anche perché riusciva a creare un indotto, dando lavoro ad artigiani locali come i  maestri d'ascia e i produttori di reti, o a donne che si occupavano della riparazione delle stesse. Vi erano poi alcuni momenti dell'anno, veri e propri periodi di pesca, nei quali veniva offerto lavoro stagionale anche a persone abitanti in altre zone e aumentavano pertanto gli addetti al settore. Un'antica attività  svolta in alcuni borghi vedeva prevalentemente le donne coinvolte nella fabbricazione di cordame e reti (quelle della tonnarella ad esempio) che erano realizzati intrecciando le foglie di Lisca (Ampelodesmos mauritanicus), un erba tenace che cresce nelle zone assolate del Promontorio di Portofino. I pescatori dei borghi costieri si dedicavano alla pesca, ben conoscendo i periodi propizi per la cattura delle diverse specie ittiche. Di padre in figlio si tramandavano le armie, ossia le indicazioni geografiche che consentivano di individuare le poste dove si potevano calare le reti. Tale sistema di orientamento a dire il vero veniva tramandato ed utilizzato in mare per tutti i tipi di pesca anche, come vedremo, per la pesca del corallo. In casi diversi chi possedeva imbarcazioni più grandi si spostava stagionalmente in altre zone del Tirreno come l'Arcipelago Toscano (fondali attorno all'Isola di Gorgona) alla ricerca di banchi di pesce azzurro (acciughe) che spesso veniva lavorato sul luogo di cattura e conservato attraverso la salagione.

 

 

Immagini d'altri tempi da "lefotodisanta". Per le attività di pesca erano fondamentali le reti che, prima dell'utilizzo, venivano conciate e poste ad asciugare al sole. Nella terza foto, si osserva come  le reti utilizzate per la pesca erano riparate quotidianamente dai pescatori.

 

Nel settecento e nell'ottocento i pescatori di Camogli con le loro barche effettuavano la traversata del Tirreno fino all'arcipelago, spesso accompagnati dai  figli che si salivano a bordo non appena finita la scuola. Chiamavano l'attività la crociera dei cento giorni e a intervalli portavano il prodotto finito (acciughe salate) nel porto di Livorno per venderlo agli Inglesi che lo controllavano e lo inviavano in Inghilterra.

Si hanno notizie, risalenti agli inizi del settecento, che riferiscono di una consuetudine per la quale i pescatori di S. Margherita e Camogli che si recavano con i propri liuti a pescare all'isola di Gorgona lasciassero ogni mattina uno spione d'acciughe al castellano dell'isola e due barili d'acciughe salate, alla fine del periodo di pesca, a compenso per l'utilizzo delle cale dell'isola dove i pescatori stazionavano e  stendevano a riva le reti.

In tempi più remoti l'ingerenza della chiesa era molto forte sulle attività locali, pesca compresa. Abbiamo già visto quanto potere avesse sul territorio l'Abbazia di S. Fruttuoso. A conferma di ciò alcune cronache locali riportano altri fatti accaduti nell'anno 1587 in quel di S. Margherita, quando l'arciprete di Rapallo che era anche vicario della parrocchie di Pieve di Sori, Uscio, Camogli, S. Margherita e Rapallo ordina che: li pescatori non possano pescare le ancioe et sardene senza sua  licenza, e che in quanto alli barcaroli non sia lecito loro carricare ne scarricare in giorno di festa qualsivoglia merce, né partire in giorno di domenica o altre feste prima di haver sentita la messa. A S. Margherita con certezza e forse anche negli altri borghi esisteva inoltre un ulteriore gabella: tutti i pescatori dovevano pagare una decima al loro parroco.

Nell'anno 1659, dopo numerosi inconvenienti, tra diversi pescatori di S. Margherita fu redatto un concordato nel quale venivano definiti i turni e i luoghi di pesca per ogni giorno della settimana. In aggiunta fu stabilito che chiunque avesse pescato la domenica o in altre feste religiose avrebbe dovuto elargire due terzi del proprio guadagno a favore della chiesa parrocchiale. Tale misura straordinaria era in realtà una contribuzione perché andava a coprire le spese per la ricostruzione della chiesa.

Nel 1780 il Senato della Repubblica di Genova, per tutelare i fondali, come già aveva fatto altre volte (vedi la pesca del corallo), vieta la pesca con gli Sciabegotti. A dire il vero si trattava di un provvedimento a tutela delle risorse ittiche, perché in quegli anni la tutela ambientale non era ancora di moda, che scatenò proteste dei pescatori, soprattutto per il fatto che appariva per loro costoso  sostituire le reti con altre che non facessero danni ai fondali.

Così gradualmente, con vari divieti di pesca diurni o solo notturni, nei periodi di guerra o in altri momenti in cui quest'attività era impossibile per via degli ordigni bellici disseminati nelle acque, si arriva ad oggi. Il mestiere del pescatore viene svolto ormai da pochi addetti e, vicino alle coste dell'Area Marina Protetta di Portofino deve essere svolto con estrema perizia. Se così non fosse non solo verrebbero rovinati i fondali ma gli addetti avrebbero continui danni economici (rottura delle reti e scarso pescato).

Fortunatamente oggi i pescatori  sono i depositari di un bagaglio di esperienza che attraverso loro si tramanda da generazioni; c'è da augurarsi che sia sempre così. D'altro canto la pesca tradizionale (piccola pesca costiera) preleva da millenni risorse ittiche senza squilibrare l'ambiente, che si è adattato a questa situazione. Per assurdo se venisse a mancare improvvisamente quest'attività potrebbero crearsi scompensi in mare con l'aumento numerico degli individui delle specie non più pescate e la conseguente diminuzione massiccia delle relative pred

 

 

 

 

 

 

foto B. Ferraris

In alto un'immagine della banchina di Sant'Erasmo e alcuni bambini di Santa Margherita Ligure intenti a pescare. In questa foto antica si può osservare come anche i più piccoli abitanti dei borghi presenti intorno al Promontorio di Portofino fossero attratti dal mare e dalle sue risorse.  In basso alcune immagini di lampare e della pesca con questi attrezzi

 

Oggi gli attrezzi utilizzati  sono reti da posta e reti a circuizione, utilizzate, quest'ultime, anche la notte, non più con fuochi accesi da terra o sulle barche, ma con sistemi di illuminazione artificiali (lampare) che attirano i pesci e i molluschi (calamari e totani). Per la tradizionale pesca del rossetto (un pesce molto piccolo che viene pescato adulto) viene utilizzata una sciabega (sciabica) calata in pochi punti lungo la costa dove, nel periodo invernale, si raduna questo tipo di pesce.

 

La partenza per la Gorgona (di Lilla Mariotti)

Ogni anno ai primi di maggio i pescatori di Camogli partivano con i loro leudi per recarsi alla Gorgona per la pesca delle acciughe.  Vi restavano fino a Settembre e spesso facevano parte dell’equipaggio anche dei bambini, figli dei pescatori.


La partenza per la Gorgona dei leudi nel Porto di Camogli 

 

I leudi partivano la notte della festa di San Fortunato, patrono dei pescatori, la sera della seconda domenica di Maggio.   La partenza avveniva alla spicciolata, in silenzio e la prima calata delle reti veniva effettuata appena fuori Punta Chiappa e il pescato veniva sbarcato a Lerici.  Da lì ripartivano e remi e con l’aiuto delle vele arrivavano al largo della Gorgona.  Questo tipo di pesca veniva già effettuato nel 1700, ed ha avuto il suo apice verso la fine del 1800, quando anche alcuni armatori di velieri possedevano leudi da pesca, data l’importanza di questa attività.   Uno degli ultimi Capobarca della Gorgona è stato Mario Bozzo nel 1918.   Comunque alcune barche hanno continuato ancora fino al 1936, ma con leudi a motore ed un tipo di pesca ormai quasi industrializzata.  All’epoca d’oro delle pesca alle acciughe il pescato veniva salato a bordo in barili di legno, che venivano poi venduti a Livorno, soprattutto a commercianti inglesi.  Questi usavano controllare il prodotto inserendo nei barili delle asticelle di legno che poi estraevano e annusavano per capire se le acciughe erano salate al punto giusto.

 

Le imbarcazioni da pesca e da carico

Leudo

Il leudo ligure o liuto: in realtà i due nomi sono utilizzati per definire la stessa imbarcazione perché leudo è la storpiatura di una parola araba che significa legno ed ha la stessa radice linguistica della parola liuto.

Si tratta di una barca a vela latina che era  utilizzata nei secoli scorsi come imbarcazione da trasporto e in qualche caso anche per la pesca.

 

Gozzo ligure

Il gozzo ligure: più piccolo del leudo era utilizzato prevalentemente per la pesca. La propulsione poteva essere a remi o a vela  e a motore in tempi recenti. Fu utilizzato per altri scopi quando alcuni possessori intravidero le opportunità di guadagno che erano collegate alle attività di trasporto dei turisti.

 

 

Tartana

La tartana da pesca: era la tipica barca da pesca del Seicento e Settecento largamente diffusa in tutti  mari italiani.

La tartana: era un battello da carico del Mediterraneo, lungo 15/20 m, fino ai primi anni del XX secolo molto utilizzato nel settore occidentale del Bacino del Mediterraneo.

 

 

 

Bilancella

La bilancella: era un battello da pesca e da carico del Mediterraneo nord occidentale simile alla Tartana, ma un pò più piccolo. La bilancella è originaria di Napoli ma veniva utilizzata lungo tutta la costa occidentale italiana. Il termine bilancella è sinonimo di paranzella.
La paranza era simile ma più grande. Doveva il suo nome al fatto che effettuava la pesca a strascico e ne occorrevano due che procedessero con la stessa andatura (in pari) per trainare la rete, tenendola aperta. Questo problematica è stata risolta con le dannose reti moderne, trainate da motopescherecci, che utilizzano i divergenti per mantenere aperte le reti.

 

Concordato per la pesca

Redatto in data 23 novembre 1659

 

Nel nome del Signore sempre sia. Essendo vero che per causa della pesca che si fa nel mare  del presente luogo dalli pescatori di reti chiamate sciàbeghe, siino per il passato seguiti molti danni e disordini fra detti pescatori, che hanno caosato et apportato non solo alle dette reti e liuti, ma ancora alli marinari istessi, fra quali uno il più considerabile seguì li giorni passati,  dove oltre la perdita di una di dette reti, et un liuto sopra quale restava detta rete, restò ancora sommerso un marinaro, il che ha apportata molta confusione alli marinari e pescatori, che pescano alle dette reti, e questo viene caosato dalla ingordigia che regna fra detti pescatori, quali tutti vorrebbero essere i primi a calare le dette reti nel mare alla mattina a buona ora;

Che perciò per avere il primo luogo alla detta pesca lasciano li loro liuti e reti alli posti dove si suole pescare, il che è caosa delli detti danni e pregiudicii, che ne ricevono, perché conturbandosi di notte tempo la marina, se non sono subito pronti a andare a levare detti liuti dalli detti posti, corrono risico di perderli come è seguito sopra; 

Che perciò per levare da mezzo la detta ingordigia e per schivare li detti danni e pregiudicii, che continuamente possono seguire in detta pesca, li Patroni delle dette reti che sono Agostino Boglio fu Gio: Antonio, Antonio Pelo fu Battista, Giuseppe Quaquaro fu Domenico, Francesco Pino di Bernardino, Battista Pelo fu Gio: Angelo, Bernardino Palmero fu Agostino e Nicola Quaquaro fu Domenico, sono venuti di loro comune consenso e volontà all’infrascritto aggiustamento ed accordo, cioè constituiti alla presenza di me Notaro e delli testimoni infrascritti, spontaneamente e in ogni miglior modo;

Hanno ordinato ed ordinano che per l’avenire in perpetuo si osservi come in appresso sotto le pene che in appresso si diranno, cioè:

Che la mattina debba essere il primo a calare quello al quale toccherà a sorte come in appresso la Cala delle Canne, che si chiama la Calagrande, quale debba essere e sii obbligato a calare all’ora solita, cioè al levare del sole e possa calare la sua rete con tutti quelli cavi, ossia funi, che a esso parranno, e poi sii tenuto e tocchi a calare quelo al quale toccherà la Cala Pietra di Capo ossia Corzetto, che si chiama Cala seconda, il quale non possa calare prima di quello al quale toccherà la Calagrande, e non possa calare più di sei cavi ordinarii né più a cavo della vista di Belvedere per la Torre, sotto pena di uno scudo d’argento per ogni contraffattore.

Parimenti ordinano e tra di loro si convengono che quello al quale toccherà a sorte la prima cala chiamata Calagrande, il giorno seguente debba essere il primo e li tocchi La prima Cala  d’Aze, e l’altro giorno in appresso la detta Cala di Pietra di Capo, ossia Corzetto, che si chiama cala seconda, e così si debba sempre per l’avvenire osservare in perpetuo sotto la pena di un altro scudo d’argento per ogni contrafazione.

Parimento ordinano e si convengono fra di loro come in appresso, e cioè se qualcheduno volesse pescare di notte in alcuna delle dette tre cale sii tenuto pescarvi prima che sia l’alba, perché venuta che sarà l’alba non vogliono nè intendono che alcuno vi possa pescare, nè calare prima di quello al quale toccherà a sorte; e se qualcuno contrafarà, sia e si intenda parimenti incorso nella pena d’un altro scudo d’argento; e per provare detta contrafazione e per levare le liti e controversie fra di loro, vogliono che si debba stare al semplice detto con giuramento di uno delli marinari che saranno sopra del liuto di quel Patrone che si pretenderà che abbi fallito e disguidato, qual giuramento li deba esser dato da un Notaro pubblico, da quale essi vorranno; e per sapere chi debba essere il primo al quale debba spettare detto aggiustamento e convenzione fra di loro, hanno ordinato e ordinano a me Notaro infrascritto che faccia sei biglietti uguali, in ognuno di quali scriva uno delli nomi di loro sei, eccetto il detto Giuseppe Quaquaro, quale si è lasciato da parte per la caosa che si dirà in appresso (?), e che detti biglietti si pongano in un capello per fare l’estrazione e divisione delle dette Cale a sorte;  il che fatto ed eseguito, si sono estratti tutti sei dal detto capello, per mano di un fanciullo, alla presenza loro, mia, e delli testimoni infrascritti, cioè per il primo è restato estratto il nome del detto Bernardino Palmero, quale domani sarà il primo a calare alla detta Calagrande, martedì sarà il primo a calare la prima Cala d’Aze e mercoledì la Cala di Corzetto, ossia Pietra di Capo, con quelli cavi e sotto quelli modi che si è detto.

Per martedì la detta Calagrande toccherà al detto P. Battista Pelo, per essere restato estratto  per il secondo, al quale spetterà e toccherà a la prima di Aze per mercoledì mattina, e quella di Corzetto per giovedì mattina.

Parimenti resta estratto per il terzo il detto P. Antonio Pelo per la detta prima Calagrande per mercoledì, e quella d’Aze per giovedì, e quella di Corzetto per venerdì.

Per giovedì la prima Calagrande è toccata a sorte al detto Agostino Boglio, al quale toccherà venerdì la prima d’Aze e sabato la prima di Corzetto, essendo restato a sorte estratto per quarto.

La detta prima Calagrande per venerdì sara del detto P. Francesco Pino, quale è stato estratto per quinto, al quale sabbato è dovuta la prima cala di Aze e linedì dell’altra settimana quella del Corzetto.

Et essendo restato estratto per l’ultimo il detto Nicola Quaquaro, perciò li spetta la prima Calagrande per sabbato, e la prima di Aze per lunedì dell’altra settimana, e quella del Corzetto per il martedì che seguirà; e così si osserverà sempre in appresso, cominciando di nuovo dal primo.

Atto dell’Archivio Notarile Distrettuale di Chiavari

 

 

Probabile area oggetto del concordato a S. Margherita ligure. Sopra punta Bagno delle Donne esisteva sino al ‘900 un’area definita dal toponimo “spiaggia d’Aze”, mentre presso Punta Cervara esistono alcuni grandi scogli in mare e per il luogo viene utilizzato anche il toponimo “Capo Nord”.