Le origini

 

Già durante la storia preromana nel tessuto delle comunità liguri spiccavano forti contrasti economici di fondo. Accanto a popolazioni costiere progredite, marinare e intraprendenti, che si dedicavano già anche al commercio con altre zone costiere, esisteva una Liguria povera e depressa nelle zone collinari e montane, ed ancora un’altra fatta di terre, oggi facenti parte di Piemonte e Lombardia, dove invece l’agricoltura, praticata in zone pianeggianti, consentiva una vita molto dignitosa.

I Liguri vennero descritti come genti scaltre,  furbe e capaci  nell’utilizzo delle armi ma anche esperti navigatori. Sulle loro usanze è giunta a noi diversa documentazione.  Lo storico Uberto Foglietta osserva che le loro abitazioni erano tuguri costruiti con pietre sovrapposte senza legante, e che dormivano anche nelle grotte dei boschi. Il geografo greco Strabone asserisce che del paese dei Liguri era inutile pretendere descrizione, non essendovi nulla d’importante e che le genti si cibavano di carne di  pecora, latte e di una bevanda fatta di orzo. Coltivavano inoltre la vigna che dava un vino aspro che commercializzavano. Strabone definisce i Liguri arditi navigatori e loda l’abbondanza dei loro legnami  che estraevano dalle folte selve per costruire le navi. Ancora Diodoro Siculo osserva che i Liguri abitano un paese aspro e totalmente sterile dove trascorrono una vita dura tra continue fatiche e pericoli. Un popolo che vince la natura con il tenace lavoro, lottando contro ogni sorta di difficoltà e, nonostante tante fatiche, ricava uno scarso frutto. Nelle fatiche quotidiane, gli uomini sono aiutati dalle donne abituate anch’esse al lavoro manuale.

La prima organizzazione dei Liguri pare fosse quella che li vedeva riuniti in “famiglie”; gradatamente poi queste famiglie si unirono a formare delle piccole popolazioni o Tribù, ciascuna delle quali assunse una propria denominazione.

Nell’ottocento uno storico dell’epoca, il Marchese Serra,  pensava che la zona intorno al Promontorio di Portofino fosse stata colonizzata da tribù liguri; in particolare, la zona a ponente, dai Casmonati, che occupavano i centri chiamati Recina e Casmona, gli attuali Recco e Camogli, e il territorio sino al Monte Penna, mentre la zona a levante dai Levi, ubicati nella zona di Chiavari e del suo entroterra, e dai Tigullii più ad est, da cui prende il nome il golfo. Oggi la tesi del Serra pare sia da accantonare e si pensa inoltre che il nome della città di Camogli non derivi dai Casmonati,  che obiettivamente dovevano essere una tribù più appenninica,  ma forse dal nome sabino o etrusco del dio Marte (Camulo-Camulio) o meglio da quello di una divinità celtica (Camolio) o ancora da parole in lingua greca e ligure: Cam (in basso) e gi (terra), in relazione alla posizione del borgo.

I Tigullii invece pare che abitassero proprio l’area della Val Fontanabuona e dell’attuale Golfo Tigullio a levante del Promontorio di Portofino. Tra i centri più

importanti per i Tigullii doveva esservi  l’attuale Chiavari, dove è stata scoperta un’importante necropoli, e forse la Segesta Tigulliorum dei romani; probabilmente  l’attuale Sestri Levante. È ovviamente abbastanza difficile risalire alla data precisa di fondazione dei centri citati, e comunque con molta probabilità lungo la costa esistevano già anche altri piccoli aggregati umani di minore importanza.

Notizie storiche sui Liguri Tigullii ci dicono che fossero in possesso di una forma di attività “industriale” perché utilizzavano le ardesie della Fontanabuona, le “chiappare” della  valle di Chignero nell’immediato entroterra di Rapallo ed il rame ricavato dalla miniera di Libiola nell’entroterra di Sestri Levante.  Probabilmente erano sfruttati anche altri giacimenti locali e questa ricchezza di metalli alimentò nell’età del ferro importanti attività artigianali. 

Pare inoltre che i Tigullii producessero ceramiche in terre di gabbro, prevalentemente per uso locale, anche se frammenti di manufatti di questo tipo sono stati rinvenuti  presso Savona.

Molti oggetti in bronzo o in ferro  venivano  prodotti localmente ed altri importati grazie alla posizione strategica che consentiva ai Tigullii scambi con popolazioni padane, dell’Etruria, e del meridione dell’attuale Francia.

Museo archeologico di Chiavari
 

Museo archeologico di Chiavari

I villaggi preistorici in vicinanza dei castellari erano perlopiù costituiti da capanne con il tetto realizzato con materiali vegetali. Nelle immagini la riproduzione del Castellaro di Recco, realizzata all'interno del Museo archeologico di Chiavari 

 

Gli scambi avvenivano attraverso antiche vie di comunicazione. 

La prima probabilmente attraversava il Passo della Crocetta, nell’entroterra di Rapallo e metteva in comunicazione la costa con la Val Fontanabuona. La seconda attraversava il valico presso Ruta di Camogli, consentendo ai Tigullii di oltrepassare il Promontorio di Portofino.

In epoca preromana dovevano esistere piccoli agglomerati rurali (i vici dei romani), dove veniva praticata l’agricoltura, posizionati nei fondovalle o poco più in alto (a “mezzacosta”), e i castellari (i castella dei romani), posti in posizioni elevate e panoramiche,  con funzioni anche difensive. I castellari spesso presentano tracce di antichi terrazzamenti che venivano realizzati per ampliare le aree pianeggianti e testimoniano l’antica origine della pratica della produzione di “muretti a secco” in Liguria.  Oltre al castellaro di Camogli nelle vicinanze del Promontorio di Portofino esistono anche quello di Uscio e quello di Zoagli,  che si sono rivelati ricchi di reperti archeologici.

La presenza sulla costa di piccole insenature ed anse, soprattutto in corrispondenza di sbocchi fluviali e torrentizi, stimolò lo sviluppo di piccoli abitati che potevano ricevere via mare merci da porti locali più importanti e ridistribuirle sul territorio. 

Anche l’insenatura di Camogli, protetta almeno in parte dal Promontorio di Portofino, veniva utilizzata come scalo intermedio per le merci che giungevano o viaggiavano verso Genova.

L’antica Chiavari pur godendo di un territorio ricco di fiumi, di boschi, di materie prime e di qualche piccola pianura, aveva, un accesso al mare molto diverso da quello attuale. Dovevano infatti esistere acquitrini e dune costiere ricoperte da bassa vegetazione: un paesaggio simile a quelli di laguna.

Queste condizioni probabilmente vennero sfruttate per la produzione di sale, usato per conservare i cibi.

La necropoli di Chiavari è ricca di urne cinerarie di pregevole fattura realizzate con materiale importato via mare. I numerosi monili ritrovati nelle urne sono ricchi di perle di provenienza orientale, ambra baltica e alcuni sono chiaramente di provenienza fenicio-cipriota-egizia.

Le tombe rinvenute sono a cassetta in lastre di pietra e rappresentano la più antica testimonianza di una forma di sepoltura caratteristica della cultura ligure. Tra l’altro la costruzione dei recinti e la tipologia dei corredi funerari testimoniano che gli abitanti del centro erano di diverso livello sociale e dovevano essere, per il loro tempo, piuttosto evoluti.

Museo archeologico di Chiavari
 
La ricostruzione di una delle tombe della necropoli di Chiavari e alcuni reperti trovati all'interno delle tombe stesse
 

Dopo la scoperta della necropoli, avvenuta nel 1959, si è potuta definitivamente accantonare l’ipotesi che i Liguri in età protostorica fossero rimasti fermi all’età del bronzo o addirittura al neolitico. Le evidenze della necropoli hanno dimostrato invece  ampiamente come le genti della zona prossima al Promontorio di Portofino, fossero, già a partire dall’VIII secolo a.C.,  piuttosto evoluti e dediti al commercio e agli scambi commerciali via mare con altre popolazioni del Mediterraneo.

 

Il Museo archeologico di Camogli, ospitato all’interno del Museo Marinaro

Il Museo è  stato realizzato con i reperti provenienti dal Castellaro di Camogli.

Il materiale esposto è costituito da resti di ceramiche e terrecotte come vasi bollitori, che erano in uso presso le antiche tribù locali del XII secolo a..C., anche originari di altre aree geografiche.

Sono stati ritrovati inoltre pesi da telaio e fusaiole, impiegati per la tessitura della lana e macine e bacinelle realizzate in roccia non locale, utilizzate per preparare gli alimenti.

Dall’analisi dei resti degli abbondanti pasti rinvenuti e dall’analisi dei pollini, ritrovati nel terriccio dei diversi strati di scavo, si è ottenuto un quadro abbastanza completo di come vivevano le popolazioni locali prima dell’occupazione romana della regione, impegnate nell’agricoltura, nell’allevamento di bovini e pecore e nella caccia. Quanto ritrovato non ci dà nessuna indicazione che le popolazioni del Castellaro  praticassero la pesca.

La consistenza dell’abitato è difficilmente definibile, perché ciò che si è ritrovato è frammentario e potrebbe rappresentare solo una parte di un nucleo maggiormente esteso,  in quanto la zona del castellaro è interessata da frane e movimenti che hanno eroso il terreno facendo cadere in mare una parte di collina.

La rocca del Castellaro è inaccessibile dal mare essendo strapiombante dalla parte soggetta a movimenti franosi, ed alta circa 70 metri. Lo scavo archeologico durò un anno e due mesi (1976-77) su di un deposito alto circa tre metri. Furono individuate 7 fasi di utilizzo della zona di cui due relative all’età moderna, e identificati circa 10.000 reperti tra cui frammenti di suppellettili e di ossa. Di rilievo il ritrovamento dei resti di  tre capanne di origine preistorica datate tra il XIV e il XII secolo a.C.

 
 Dal sito Web del Museo Marinaro di Camogli