Confuse e felici; le specie animali mimetiche di casa nostra

 

Che sia per nascondersi agli occhi dei predatori o per catturare il cibo, molte specie animali sfruttano le strategie mimetiche.

Un animale che si muove è facilmente individuabile, ma in assenza di movimento la sua identificazione da parte di altri, prede o predatori che siano, è tanto più difficile quanto più lo stesso animale si confonde con l’ambiente circostante. Questa capacità, tipica di alcune specie, è di fatto una strategia di sopravvivenza.

Se pensiamo ad un’animale mimetico, però, ci può venire in mente il polpo, che più che il mimetismo in senso stretto, sfrutta il cromatismo variabile, una forma sofisticata di strategia mimetica, ossia la capacità di mutare il proprio colore per imitare quello dei fondali, grazie a cellule specializzate presenti nella pelle e capaci di contrarre o dilatare il pigmento in esse contenuto. Il polpo, a dire il vero, per aumentare “l’effetto” arriccia anche la pelle, formando piccole escrescenze che lo rendono ancora meno distinguibile.

Utilizzano il cromatismo variabile anche la seppia e i pesci piatti: sia quelli ossei, come le sogliole e i rombi di rena, che quelli cartilaginei, come alcune razze. Il cromatismo variabile, che consente a questi animali di assumere colorazioni diverse per confondersi sul fondo, viene da loro spesso usato anche per esprimere sensazioni legate ad esempio al corteggiamento o alla paura.

 

 

Dall’alto: polpo (Octopus vulgaris), foto E. Monaci, e rombo di rena (Bothus podas), foto M. Benvenuti.

 

Ma  “mimetismo”, vedremo, è sì la parola che definisce la capacità di rendersi quasi invisibili, ma anche quella che in altri casi definisce la capacità di somigliare ad altri, per trarre un qualche vantaggio, o di mostrarsi quando non si ha nulla da temere. Ciò può essere sconcertante, perché, nella concezione generale, “mimetico” è qualcosa che si confonde con l’ambiente circostante e non l’opposto, ma questa interpretazione è vera solo per il mimetismo criptico.

L’insetto stecco, “parente” degli ancora più sofisticati insetti foglia tropicali, è un esempio straordinariamente perfetto di forma animale in armonia con l’ambiente di vita. Se provate a guardare con attenzione questo piccolo animale, vi accorgerete che somiglia in modo impressionante ad un sottile rametto, grazie al suo colore, verde o marrone, e al  suo corpo, dalla forma per lunghi tratti quasi cilindrica, ornato da minuti bitorzoli che somigliano alle lenticelle presenti sulle cortecce. Questo insetto erbivoro predilige i cespugli di rosa selvatica ed ha abitudini notturne. Per questo ultimo motivo e per le sue capacità mimetiche, è molto difficile vederne qualche esemplare.

Le specie animali che hanno sviluppato questa o strategie simili si avvalgono del cosiddetto mimetismo criptico, riuscendo a scomparire alla vista dei loro predatori.

Sempre tra gli insetti è il caso di alcune farfalle come quelle della specie Lophopteryx camelina, somiglianti a  piccole scaglie di legno e praticamente invisibili  quando si posano  sui tronchi degli alberi.

In mare qualche analogia con l’insetto stecco mostra invece il pesce ago, che si confonde tra le piante di Posidonia oceanica grazie al colore del suo corpo ed alla capacità di restare immobile in posizione quasi verticale, in modo da sembrare una foglia.

Anche i cavallucci marini si confondono tra le foglie di Posidonia oceanica,  mentre sulle foglie non è facile scorgere i movimenti di un crostaceo di colore verde, Idotea hectica, capace di cambiare lentamente colore ed assumere quello marrone quando le foglie in autunno iniziano ad appassire.

Mimetici sono anche molti predatori, come scorfani e rane pescatrici, invisibili alle loro prede e capaci, quando queste sono giunte a tiro, di farne un sol boccone. In questi animali non solo i colori traggono in inganno le prede, ma tutta una serie di escrescenze distribuite su molte parti del loro corpo, che sembrano alghe o simulano la forma di altri piccoli organismi, e contribuiscono a rendere questi animali ancora meno visibili quando restano immobili sui fondali.

Sulla terraferma la mantide religiosa e i ragni granchio utilizzano questo tipo di mimetismo per predare, confondendosi tra il fogliame, le erbe e i fiori, grazie ai loro colori.

 

 

Alcuni organismi che si avvalgono del mimetismo criptico. In alto da sinistra: insetto stecco (Clonopsis gallica) e Ptilodon capucina. Al centro da sinistra: femmina di Misumena vatia; mantide religiosa (Mantis religiosa); Idotea hectica. In basso da sinistra: rana pescatrice (Lophius piscatorius), foto M. Benvenuti, e scorfano nero (Scorpaena porcus), foto S. Bava. In basso:pesce ago cavallino (Syngnathus typhle), foto S. Bava.

 

C’è ancora chi, non potendo sfruttare colori e forme, si è ingegnato ricoprendosi di organismi, come il granchio facchino, che distacca frammenti di spugne dal fondale e li trattiene sul carapace, o come la grancevola piccola, che si muove in modo così lento da far sì che il proprio dorso rugoso venga colonizzato da alghe. Il comportamento di questi animali viene chiamato auto camuffamento.

Tra le forme di mimetismo particolare vi è quella dei pesci azzurri, solitamente scuri sul dorso e chiari sul ventre. In questo modo, osservati dall’alto o dal basso, sono sempre poco visibili.

Quando al contrario si utilizza una strategia che prevede di mostrarsi, si parla di mimetismo fanerico. Tuttavia, vedremo, ci si può  mostrare anche per trarre in inganno…

Particolare la strategia di alcuni animali, che confondono i predatori rendendo difficile l’individuazione dell’orientamento del loro corpo. I bruchi di alcuni lepidotteri, oltre che mostrare spesso mimetismo criptico, hanno colorazione simile dalla testa alla coda e presentano talvolta appendici terminali (codini o fruste), che potrebbero avere anche la funzione di distogliere l’attenzione dei predatori dalla vera parte cefalica, od ocelli (macchie simili ad occhi), con funzione intimidatoria nei confronti degli aggressori.

Alcune farfalle, come il podalirio,  presentano, nella parte inferiore delle ali posteriori, macchie di colore vivace più o meno vistose. In quest’ultimo caso la strategia può anche confondere i predatori, focalizzando la loro attenzione sulle macchie stesse, e, seppur non completamente efficace, consentire ai lepidotteri di sopravvivere ad un attacco. Comunissime infatti nei prati, farfalle con ali posteriori lacerate, ma comunque ancora in grado di volare.

Degno di nota il comportamento della vanessa io. Se minacciata, questa splendida farfalla mostra due grandi macchie a forma di occhio presenti sulle ali posteriori, che solitamente spaventano gli uccelli insettivori.

Alcuni saraghi e le occhiate hanno spesso una macchia nera sulla coda. Quando sono in branco la macchia può sembrare un occhio e quindi trarre in inganno i predatori durante un attacco.

 

In alto da sinistra: bruco di lepidottero del genere Smerinthus, che mostra la parte terminale del corpo dove è presente un cornetto caudale e Leptotes pirithous, una farfalla con piccole ma evidenti macchie ocellari sulle ali posteriori. In basso da sinistra: la bella vanessa io (Inachis io), foto G. Motta, e un’occhiata (Oblada melanura), foto L. Capurro.

 

Altri animali mostrano una colorazione estremamente complessa o irregolare, che, spesso, non consente ai predatori di individuare il profilo del loro corpo. In mare è il caso dello sciarrano e di molti labridi, ma anche della “vacchetta di mare” che mostra macchie bianche e nere, che ne rendono poco definito il profilo o comunque l’individuazione dell’orientamento del corpo.

Ma la natura  mostra meccanismi del mimetismo ancora più complessi. A scoprirli fu Henry Bates che svelò al mondo nel 1862 come alcuni animali utilizzino particolari strategie mimetiche.

Il mimetismo batesiano viene attuato da specie innocue o commestibili per i loro predatori, che imitano, nelle forme e nei colori, altri organismi tossici, velenosi o comunque con buone difese, sfruttando così l’opportunità di essere confuse con essi.

In mare ci danno un esempio di questa strategia i “vermi piatti”, che somigliano spesso a molluschi nudibranchi, questi ultimi tossici o immangiabili per via della loro dieta a base di organismi anche urticanti, come i polipi degli idroidi.

A terra, tra gli animali che mettono in atto questo tipo di mimetismo, vi sono alcune innocue farfalle, dall’aspetto del tutto simile a vespe, e i sirfidi, grosse mosche che si cibano di nettare e che ad un occhio inesperto possono sembrare api o comunque imenotteri dalla puntura velenosa.

 

Dall’alto nella colonna di sinistra: sciarrano (Serranus scriba), foto P. Tessera; vacchetta di mare (Discodoris atromaculata),foto L. Capurro; grancevola piccola (Maja crispata) foto A. Serafini. Dall’alto nella colonna a destra: un mollusco nudibranco del genere Chromodoris, foto M. Corradi, a confronto con un “verme piatto” della specie Prostheceraeus giesbrechtii, foto S. Bava, e un sirfide su di un fiore.

 

Quindi in generale nel mondo animale, gli organismi che non hanno nulla da temere, perché tossici o immangiabili, sfoggiano livree ben identificabili o addirittura vistose (colorazioni aposematiche). È il caso dei molti piccoli nudibranchi marini o degli insetti con colorazione rossa e nera, come quelli appartenenti al genere Zygaena.

La somiglianza tra specie non commestibili sta alla base del mimetismo mulleriano, teorizzato da Fritz Muller intorno al 1864.

Secondo lo studioso la somiglianza porta un vantaggio alle singole specie, che sacrificheranno ognuna soltanto un numero ridotto di esemplari, prima che i predatori comprendano di  non doverle attaccare.

Invece, quando le specie non commestibili non si somigliano, i predatori devono fare singole esperienze per ogni specie diversa e quindi gli esemplari sacrificati risulteranno molti di più per ogni singola specie.

Questo tipo di mimetismo quindi non sarebbe altro che  una strategia di sopravvivenza messa in atto da più specie affini.

Uno degli esempi più comuni ci viene fornito da Amata phegea, una piccola farfalla, chiamata volgarmente “prete”in Liguria, che somiglia in modo quasi perfetto a Zygaena ephialtes. Le due farfalle sono entrambe non commestibili per molti predatori.

Il mimetismo mulleriano tende talvolta a mescolarsi con quello batesiano quando specie  commestibili per i predatori possono somigliare a gruppi di animali non commestibili.

In ogni caso, ad esempio, i colori di avvertimento, come il rosso e il nero, legano insieme molte specie, che possono essere più o meno tossiche o più o meno disgustose. Oltre alle già citate specie del genere Zygaena, i cui esemplari spesso contengono piccole quantità di cianuro, tra le specie comuni nel nostro territorio troviamo Graphosoma italicum, una cimice dal sapore disgustoso, Rhinocoris iracundus, un insetto predatore capace di infliggere con il suo rostro dolorose punture anche all’uomo, e la stessa coccinella che, se attaccata, produce un liquido che fuoriesce dalle articolazioni delle zampe e allontana i predatori. Altri esempi sono forniti dalle specie Lygaeus saxatilis e Cercopis arcuata e dagli insetti del genere Phyrrhocoris, comunque non commestibili per gran parte dei predatori.

 

A sinistra dall’alto: Zygaena transalpina; Graphosoma italicum; Lygaeus saxatilis e un insetto del genere Phyrrhocoris. A destra dall’alto: Hippodamia variegata; Cercopis arcuata; Rhinocoris iracundus e Amata phegea.

 

È ovvio che molte specie mimetiche diffuse in Liguria non sono state descritte in questo articolo per non dilungarci ulteriormente, ma speriamo di aver chiarito almeno in parte i meccanismi del mimetismo, che restano certamente tra i più affascinanti e particolari in natura.