E’ tornato il Bue Marino!

 

Premessa

In questo articolo si narra po’ di storia della foca monaca, chiamata anche “bue marino”, fino allo straordinario avvistamento, risalente a giugno dell’anno 2010, di un esemplare di questa specie all’interno dell’Area Marina Protetta “Portofino”.

 

Anche solo qualche mese fa (siamo nell’estate dell’anno 2010), un articolo di questo genere sarebbe iniziato con: “c’era una volta”, visto che l’ultima foca monaca a Portofino è stata, purtroppo, catturata intorno agli anni venti del secolo scorso.

Oggi la foca è tornata. Lo sappiamo perché è stata vista e fotografata da alcuni subacquei in immersione, ma questo evento fortunato, proprio nell’anno internazionale della biodiversità, potrebbe non testimoniare solo un caso isolato, bensì frequentazioni occasionali delle nostre coste, in anni e periodi diversi, da parte del simpatico e raro mammifero. Infatti non è facile scorgere questi animali, che possono passare inosservati, ed un altro avvistamento che comprova quanto affermato è stato fatto nell’anno 2008 nei pressi di Bergeggi.

 

 

La foca monaca osservata lungo la costa sommersa dell'Area Marina Protetta Portofino (foto V. Minghini – Diving Center Massub).

 

E allora, visto che non possiamo far nulla per convincere la foca a restare, possiamo “invitarla” ogni tanto. Certamente sarà attirata dall’aumento dei grossi pesci di cui si ciba, dovuto alle misure di tutela dell’area marina protetta, ma turbata dalle imbarcazioni e dalla presenza umana.  Per questi ultimi motivi se si visita l’Area Marina Protetta “Portofino” occorre non solo rispettare le regole, ma anche usare la massima cautela durante la navigazione.

Un tempo per la foca monaca, l’Area Marina Protetta Portofino non era, come oggi, solo un luogo adatto per  una “toccata e fuga” e le sue coste rappresentavano un vero e proprio habitat, ideale per la vita e la permanenza della specie.

Oggi sembra persino difficile immaginare una foca monaca beatamente sdraiata con il suo piccolo lungo le spianate di roccia che si trovano a Punta Chiappa o in una delle tante piccole grotte sparse lungo la costa del Promontorio di Portofino. Con un “viaggio nel tempo”, però, potremmo veramente osservare una situazione di questo genere: la testimoniano osservazioni scientifiche effettuate tra il 1800 ed il 1900. In quel periodo, lungo la costa del Promontorio di Portofino, erano presenti gruppi di foche che, nonostante non vi siano prove, potrebbero essersi  riprodotte proprio in questi luoghi.

 

 

La foca monaca catturata intorno agli anni venti e conservata presso il Museo di Storia Naturale di Genova (Archivio AMP Portofino-foto V Cappanera).

 

L’aumento della presenza umana in mare ha certamente disturbato le foche “di Portofino”, ma non sappiamo se ciò è avvenuto anche con pratiche di cattura diretta. Probabilmente la diffusione della pesca notturna con l’uso delle lampare e le catture accidentali di esemplari nelle reti sono state le cause principali della scomparsa della specie.
Le imbarcazioni da diporto avrebbero potuto causare gravi danni all’animale, per via della sua abitudine di mettersi a galleggiare a “pancia in su” sul pelo dell’acqua, o comunque, nel migliore dei casi, la continua presenza antropica (passaggio di unità navali e presenza di bagnanti) avrebbe allontanato queste foche.  Negli anni ’60 -’70, però, durante il boom della nautica, la foca monaca era già scomparsa dalla costa del Promontorio di Portofino e stava scomparendo ormai anche dalle coste più selvagge del litorale francese.
Vedere una foca nell’Area Marina Protetta “Portofino” è certo un evento rarissimo.

Questo animale non si confonde con i più comuni cetacei ed è simile ad altre foche, con corpo allungato su cui si sviluppa una corta pelliccia, generalmente grigia, o, talvolta, marrone. Il ventre ha una tonalità più chiara. Possiede arti trasformati in pinne e una testa ridotta, con un muso grazioso e ornato da vibrisse e peli sopra gli occhi. La lunghezza del corpo va dal metro sino a oltre 2 metri. Solitamente sono le femmine ad avere le dimensioni inferiori. Si ciba di molluschi cefalopodi, patelle, crostacei e pesci, soprattutto bentonici (che vivono vicino alla costa), come murene, corvine, cernie, dentici e mostelle

La tradizione orale, tramandata dagli ultimi pescatori, ci racconta come questi animali, proprio tra realtà ed immaginazione, fossero capaci di salire sulle rocce e percorrere tratti all’asciutto per cercare un cibo fuori dall’ordinario, come la frutta; pare soprattutto grappoli d’uva, prodotti da vigne coltivate a ridosso della costa.  I ricercatori affermano però che si tratta di una falsa credenza, perché questo mammifero è strettamente carnivoro e pertanto non si ciberebbe di uva. Si tratterebbe di un’affermazione non vera, originata da atteggiamenti ambigui di queste foche, effettuati nei pressi di filari.

Resta il fatto che la tradizione orale citata si è tramandata pressoché identica in molti paesi mediterranei. Davvero una strana coincidenza, a meno che non vi siano altre spiegazioni. Una molto fantasiosa potrebbe far pensare all’uva come ad una potenziale fonte d’acqua dolce, utilizzata dagli animali alla fine di estati calde e asciutte, quando i corsi d’acqua costieri sono in secca.

Nelle isole e lungo le coste impervie del Mediterraneo si trovano grotte che prendono il nome proprio dal “bue marino”. Ciò non coincide più con la presenza costante della foca monaca al loro interno, ma è certamente segno di un antica frequentazione degli antri da parte di questi animali.

Non è facile però dare un esatta spiegazione del motivo per il quale la foca monaca sia stata chiamata “bue marino” dalle diverse popolazioni delle coste del Mediterraneo. Si può solo intuire che alcuni, visti i grossi animali crogiolarsi sulla costa, li abbiano pensati simili ai più comuni erbivori allevati a terra.

I dugonghi, abitatori del nostro mare nel Pliocene e simili alle foche ma appartenenti al gruppo dei Sirenidi e non dei Pinnipedi, sono spesso chiamati anche “vacche di mare”. In questo caso l’appellativo è giustificato perché si tratta di animali erbivori, che brucano alghe e piante marine, mentre le nostre foche sono carnivore. Sempre restando nel campo delle ipotesi, il  motivo del nome potrebbe anche essere legato all’alimentazione umana. Non era certo difficile catturare a terra uno di questi animali, che poteva offrire, proprio come un bue, un grande quantitativo di carne ad una piccola comunità costiera.