Cosa vuoi che sia ... un mare minacciato
Questa pagina, strettamente connessa al calendario AMP Portofino 2025, nasce con l’intento di mostrare le principali minacce che affliggono la “nostra” Area Marina Protetta e più in generale le zone costiere del Mar Mediterraneo (dove si aggiunge anche la sovrapesca)
Per quanto il principale compito di un'Area Marina Protetta sia appunto proteggere un tratto di mare, per una molteplicità di ragioni spesso la protezione ambientale passa in secondo piano rispetto ad altri fattori; per quanto la situazione all’interno dei confini protetti sia estremamente migliore rispetto alle zone non protette, anche all’interno dell’Area Marina Protetta c’è molto lavoro da fare, molti aspetti da migliorare.
Il percorso di miglioramento, già di per sé difficile, è spesso ulteriormente ostacolato da interessi e privilegi, quindi la cosa migliore da fare è rendere consapevoli più persone possibile di cosa avviene sotto il pelo dell'acqua.
La protezione e la tutela degli habitat marini sono rese molto più difficili dal… mare stesso !
Infatti, se da un lato il blu del mare dà pace e crea un fascino enorme, dall’altro di fatto il velo blu nasconde agli occhi delle persone quello che avviene sotto la superficie, dove avvengono impatti e disastri che se avvenissero sul crinale di un monte sarebbero immediatamente sui principali giornali e telegiornali.
Per questo motivo, si è voluto chiamare questa pagina “COSA VUOI CHE SIA …”, perché spesso le persone non si rendono conto dell’impatto che loro stesse creano, in molti casi per “ignoranza”, pigrizia, scarsa preparazione e in certi casi per menefreghismo … appunto “COSA VUOI CHE SIA se ancoro su Posidonia?”, “COSA VUOI CHE SIA se perdo una lenza?”, “COSA VUOI CHE SIA se butto la bottiglia in mare?” ecc... alcune delle riposte a queste domande sono proprio in questa pagina.
E’ necessario sottolineare che certi fenomeni non sono legati all’impatto umano diretto, ma a fenomeni più a vasta scala, primi tra tutti i cambiamenti climatici; tuttavia è scientificamente dimostrato che, su scala locale, un habitat impattato direttamente da attività umane sia più suscettibile e meno resiliente agli impatti dei cambiamenti climatici.
La riduzione degli impatti umani diretti consente quindi in parte di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e se su questi ultimi (purtroppo) a scala locale si può fare ben poco, sui secondi un'AMP ha un ruolo importante, e il primo passo per ottenere questo risultato è rendere consapevole chi fruisce del bene del patrimonio naturale presente nella stessa; molte delle iniziative dell’AMP si muovono in questa direzione e tra queste troviamo il calendario 2025 e questa pagina che verrà regolarmente aggiornata e arricchita.
Rifiuti e marine litter
Rifiuti sul fondale (foto Reef Alert Network)
I fondali marini sono stati considerati per anni una grande pattumiera. Hanno inoltre ricevuto e ricevono ancora oggi materiali che arrivano da fiumi e torrenti. Tra questi, i grossi tronchi di legno, che possono, dopo aver galleggiato per qualche tempo, adagiarsi sui fondali. In questo caso il mondo marino, grazie ad alcuni organismi specializzati, mette in atto alcune strategie che, seppur in tempi lunghi, portano alla degradazione dei resti vegetali. Vetro gomma e plastiche hanno invece tempi di degradazione molto lunghi e permangono sui fondali per lungo tempo creando più
che altro, quando non danneggiano organismi posandosi sul fondo, un problema estetico per chi visita i fondali. Resta invece un problema di inciviltà quello di chi ancora oggi si libera in questo modo dei suoi rifiuti.
Riscaldamento e heatwaves
Gorgonie affette da necrosi innescate dalle heateaves, ondate di calore sottomarine (foto L.Merotto)
Nelle estati di questi ultimi anni si sono raggiunte temperature molto elevate e superiori in media a quelle di qualche ventina di anni fa. L’effetto di questo riscaldamento anomalo si è ripercosso anche sullo stato delle acque marine, cosicchè la massa di acqua riscaldata in superficie dal sole torrido è divenuta sempre più cospicua, finendo per interessare in profondità zone di costa che negli anni scorsi erano lambite esclusivamente da acque fresche e praticamente a temperatura costante. Gli organismi in grado di spostarsi, almeno in apparenza, non risentono troppo di questo fenomeno, ma gli organismi sessili (che si fissano ad un punto del substrato) come le gorgonie rosse, specie se il fenomeno permane a lungo, hanno difficoltà a sopravvivere ed i polipi che le compongono vanno incontro ad estese morie. I tessuti in questo caso degenerano lasciando apparire gli scheletri biancastri, che in seguito si ricoprono di altri organismi (epibionti).
Va aggiunto poi che la situazione non ottimale debilita questi organismi rendendoli anche suscettibili ad attacchi da parte di diversi microoganismi patogeni.
Colonia di Oculina patagonica in sofferenza (foto L.Merotto)
Nella foto, che è anche la copertina del calendario 2025, è ritratta una colonia di Oculina patagonica, madrepora comune lungo le coste di ponente della Liguria. Questa specie era stata osservata come fossile in alcune rocce in Argentina e si pensava fosse presente nelle acque costiere di quel paese. Per il momento tuttavia non esistono segnalazioni di ciò, per cui è anche probabile che si tratti di una nuova specie vivente mai osservata in natura. Nell’immagine si può notare il contrasto tra la parte chiara, ormai ridotta al solo scheletro dell’animale, e la parte marroncina che mostra i piccoli polipi ancora vitali; alcuni con i tentacoli estroflessi , il danno a alla colonia ritratta è stato provocato da innalzamenti anomali della temperatura delle acque marine conseguenti agli effetti del riscaldamento globale.
Ancoraggi
Ancora impatta su fondale pre-coralligeno in prossimità di Leptogorgia sarmentosa (foto Reef Alert Network) e in mezzo a P.oceanica (L.Merotto)
Una delle maggiori insidie per i fondali marini è rappresentata dagli ancoraggi. Tante persone non vedono in questa pratica risvolti negativi, ma al contrario le ancore possono danneggiare seriamente i fondali marini. A creare i danni più estesi sono soprattutto i movimenti delle ancore stesse, che prima di fissarsi sul fondale strappano, per via della trazione operata dalle imbarcazioni, ciò chè intercettano lungo la loro traiettoria.
Gli ancoraggi hanno un effetto negativo su tutti i tipi di fondali, ma su quelli ricoperti da prateria di Posidonia oceanica o da biocenosi coralligena possono provocare gravissimi danni ambientali. Nella prateria questa pratica può creare ampie eradicazioni, creando a lungo andare il cosiddetto mosaico di prateria nel quale la copertura vegetale non appare uniforme ma ampiamente “perforata”. Nella
foto, che non ha bisogno di commenti, si vede anche come le ancore possono danneggiare altri habitat importanti.
Specie non indigene e aliene
Caulerpa cylindracea, che ricopre parzialmente altri organismi fotofili ( foto L.Merotto)
In gergo scientifico le specie non native sono quelle che, per motivi diversi, giungono in un’area nella quale non erano mai state osservate e vi si collocano più o meno stabilmente. Le specie aliene sono tra queste, ma il loro arrivo in una zona è provocato direttamente da attività umane e non da altri fattori. Queste specie possono anche venire definite invasive, se hanno la capacità di competere con altri organismi locali, prendendo il sopravvento su di loro. Nell’area marina protetta per il momento, anche se si sono osservate specie non native, nessuna di esse ha mostrato o mantenuto un potenziale invasivo. Va però detto che l’alga che si osserva nella foto, ossia Caulerpa cylindracea, una specie aliena, ha mostrato potenziale invasività, colonizzando i fondali ricchi di alghe ed apparendo dappertutto a basse profondità, persino nelle pozze di marea, senza tuttavia, dato il suo aspetto rado, dare troppo fastidio ad altre alghe ed organismi già presenti. In ogni caso, la forte mareggiata che ha colpito nel 2018 l’area marina protetta, ridimensionando la copertura algale sulle rocce prossime alla superficie, che comunque si è ricostituita velocemente, sembra aver “ridimensionato” anche Caulerpa cylindracea che per il momento non è più distribuita come prima dell’evento citato.
Alterazione degli habitat
Matte morta di Posidonia oceanica (foto A.Oprandi)
La prateria di Posidonia oceanica rappresenta un habitat fondamentale per la vita marina. In particolare ospita esemplari giovanili di molte specie marine che al suo interno si sviluppano e crescono al sicuro dai predatori. Inoltre le foglie di questa pianta rappresentano in vero e proprio microhabitat dove vivono piccoli animali marini particolari, che sfruttano il mimetismo per rimanere inosservati.
Aumento di torbidità delle acque ed insabbiamento dei fondali possono provocare grossi danni alle praterie, provocando, con il tempo, il loro ridimensionamento. nel caso specifico, gli insabbiamenti possono “soffocare” le piante che vivono più vicino alla superficie marine e prossime alle coste, mentre l’aumento della torbidità può portare a morte le piante che vivono maggiormente in profondità e che, a causa di questo fenomeno, non riescono più a ricevere la quantità di luce sufficiente per la loro sopravvivenza, divenendo sempre più esili e finendo poi per soccombere.
Una prateria di Posidonia, "frazionata" a causa degli ancoraggi è molto più suscettibile a sedimentazione, erosione, ed effetto delle mareggiate che trovando una prateria meno compatta riescono ad avere un effetto molto più devastante rispetto a una sana; inoltre i solchi e i buchi causati dagli ancoraggi diventano sia un ottimo punto di "appiglio" per le specie non indigene dannose ( Caulerpa spp.) sia punti in cui si avvia l'erosione che piano piano può andare ad allargare il "buco" compomettendo la tenuta di tutta la prateria.
Esche artificiali e ami
Giovane gabbiano reale zampegialle (Larus michahellis) con un esca artificiale conficcata nel becco (Foto G.Massa), Cernia (E.marginatus) con esca artificiale conficcata in bocca
Fra gli effetti collaterali della pesca esiste anche il rischio di perdere gli ami durante l’attività. Questa situazione è purtroppo molto diffusa. Oggi sono in commercio anche ami biodegradabili, che risultano scarsamente utilizzati e che comunque non consentono di evitare danni ad un pesce che si decidesse di liberare ma che ha ingoiato un amo anche fosse biodegradabile.
Se sui fondali può capitare di vedere anche un grosso pesce, come ad esempio una cernia, con un amo che penzola dalla bocca, o una gorgonia alla quale è appesa un’esca finta, non si può escludere che anche uccelli, come il giovane gabbiano reale della foto, rimangano vittime di questo tipo di attrezzi di cattura.
Occorre quindi prestare molta attenzione durante le attività di pesca ed effettuarla in modo responsabile, cercando di avere il minor impatto sugli ambienti marini e sugli organismi che li popolano.
Pesca a strascico
Fondale in seguito al passaggio di reti a strascico (Foto WoodCoast)
I principali habitat dell’area marina protetta non risentono degli effetti della pesca a strascico grazie alla presenza di un fondale roccioso che ne ha da sempre impedito la pratica.
Al margine esterno della zona tutelata esiste tuttavia un fondale detritico che, in tempi passati, veniva marginalmente preso in considerazione per le attività di strascico.
Questo tipo di pesca fortemente impattante ha gradualmente impoverito i fondali, tant’è che per trovare buone quantità di specie ittiche commercialmente interessanti, i pescatori interessati ad effetuare questo tipo di pesca hanno dovuto spostarsi a calare le reti sino a oltre 1000 metri di profondità.
Sembra che con il tempo i fondali meno profondi e non più oggetto dello strascico si “riprendano” parzialmente senza ovviamente tornare allo stato originario.
Il passaggio sui fondali della rete a strascico provoca una sorta di aratura, anche grazie ai divergenti come quello nella foto abbandonato sul fondo marino, che “stana” anche gli organismi che vivono sotto la sabbia, alterando gravemente in questo modo la catena alimentare che ha al suo apice piccoli squali di fondale come il palombo, divenuto ormai una specie rara e minacciata.
Lenze perse
Lenze da pesca e esce artificiali incocciate su un fondale coralligeno con P.clavata (foto Reef Alert Network)
Una lenza di nylon può apparire innocua ma sui fondali marini si mostra insidiosa.
Spesso ad essa sono legati piombi od esche finte e grazie ad essi, oltre ad aggrovigliarsi a gorgonie, spugne e ad altri organismi, riesce a abradere il tessuto vivente di questi animali.
Le lenze che abbruttiscono i fondali non sono quindi solo un problema estetico.
In alcune zone anche le lenze utilizzate per pescare e poi recuperate dai pescatori, con il loro sfregamento sulle rocce hanno fatto seri danni ai gruppi di madrepore gialle, come quelle che si vedono nella foto grande, recidendole alla loro base e facendone accumulare con il tempo sul fondale sottostante i loro scheletri calcarei.
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Morie di massa
Conchiglie di Pinna nobilis, morte in seguito alla moria del 2018 (foto L.Merotto)
Non è mai facile comprendere cosa accade quando si scatena una moria così estesa, e per fortuna oltremodo rara, come quella che ha colpito la nacchera (Pinna nobilis). Di certo si sa che ad aver provocato questo fenomeno è stato un protozoo che potrebbe aver trovato gli esemplari di questa specie debilitati a causa del riscaldamento delle acque marine.
Per alcuni ricercatori sembrerebbe inoltre che possa essersi verificata proprio a causa dell’innalzamento della temperatura del mare una sorta di attivazione del protozoo, probabilmente già convivente con le nacchere, che abbia reso più aggressivo il microrganismo e contemporaneamente più debole il mollusco.
C’è comunque da sperare che la specie possa comunque riprendersi fra qualche anno, anche se attualmente è considerata a forte rischio di estinzione.
Pinna nobils è il caso più eclatante di moria di massa avvenuta di recente in AMP Portofino ( e in tutto il Mediterraneo), in quanto ha portato al collasso la popolazione Mediterranea e sembrebbe all'estinzione sul Promontorio di Portofino, il tutto in circa un paio di mese; tuttavia morie di massa (di diversa entità) avvengono costantemnte in seguito al caldo dei mesi estivi; vengono colpiti in particolare gli organismi del coralligeno sopratutto la gorgonia rossa (Paramuricea clavata), ma altri organismi bentonici tra cui troviamo gorgonie gialle, madrepore cuscino (Cladocora caespitose), spugne, briozoi, alghe; tra i casi più eclantanti di morie di organismi bentonici troviamo quelli del 1999 e 2003 seguito poi da eventi più o meno gravi sino ad arrivare alle estati del 2022 e 2023 che hanno nuovamente colpito duramente i fondali dell'AMP ( e di buona parte del mediterraneo).
Ma gli organismi bentonici sessili non sono gli unici a essere colpiti dalle morie di massa, infatti anche invertebrati come ricci e spugne possono andare incontro a questi fenomeni e persino pesci!
Nel 2019 moltissimi esemplari di Cernia bruna (Epinephelus marginatus) sono stati colpiti da un malattia virale chiamata "encefalopatia", che al pesce comporta problemi alla vista (occhio patinato), ulcere su tutto il corpo, problemi al sistema nervoso e alla vescica natatoria, apatia e morte. Questa malattia è ben conosciuta negli allevamenti di itticoltura (orate e branzini), quando colpisce le specie selvatiche lo scenario appare davvero desolante; nel 2024 questa malattia ha colpito molte zone del Mediterraneo ma per fortuna non ha colpito in Liguria.
Mucillaggini
Gorgonia gialla (Eunicella cavolinii) ricoperta da mucillagine (Foto L.Merotto)
Tra gli effetti del cambiamento climatico vi è l’avvicendarsi di estati sempre più calde, che provocano, come già visto, il riscaldamento anomalo del mare e che si accompagnano a periodi di relativa calma di vento e quindi di mare calmo. In mare questa situazione provoca il formarsi di mucillagine che sui fondali finisce per ricoprire soprattutto gli esemplari di varie specie di gorgonie, creando in questo modo una sorta di ovatta che impedisce ai polipi che costituiscono questi organismi di ricevere le particelle alimentari trasportate dalle correnti marine, condannandoli alla lunga a soccombere. In quelle condizioni le gorgonie divengono sofferenti e vulnerabili ai patogeni e, quando finalmente le mareggiate spazzano via la mucillagine, possono mostrarsi fortemente danneggiate in alcune ramificazioni.
Ovviamente queste alterazioni climatiche si ripercuotono anche su altri organismi, anche se quelli che vivono ancorati al substrato subiscono i maggiori danni.
Chiazza di idrocarburi sulla superficie del mare (F.Storelli)
L’inquinamento da idrocarburi è da sempre una delle minacce più serie per gli uccelli marini e per gli organismi che vivono lungo le coste.
Fortunatamente sono rari gli eventi che provocano disastri ambientali causati da fuoriuscite di sostanze inquinanti da navi o imbarcazioni di diversa grandezza.
In ogni caso occorre certamente prevenire questo tipo di eventi, alla luce del fatto che il traffico nautico è certamente aumentato e conseguentemente anche il rischio che si verifichino incidenti.
L’ambiente marino è comunque delicato per cui occorre che anche i propulsori di una piccola unità navale vengano mantenuti efficienti per evitare sversamenti di liquidi inquinanti in mare.
Reti perse
Rete persa su un fondale a Coralligeno (Foto Reef Alert Network)
Tra gli attrezzi di pesca maggiormente impattanti sul fondale marino vi sono certamente le reti, capaci di aggrovigliarsi agli organismi del fondale e provocando loro seri danni, e che talvolta possono anche continuare a pescare anche in profondità.
È certo che i pescatori non vogliano perdere le reti sui fondali e facciano di tutto perché ciò non avvenga. Per ciò sono rare le reti perse, in relazione alle attività di pesca che vengono effettuate nell’area marina protetta. In effetti poi, gli attrezzi che si rinvengono sul fondale sono perlopiù lembi di rete strappati e non intere attrezzature di pesca.
Come nel caso degli ami, sono state progettate anche reti biodegradabili che potrebbero in futuro, almeno in parte, risolvere il problema delle reti perse e dei problemi che queste possono provocare sia lungo la costa che in mare aperto.